Ultimo discendente di una ricca famiglia intrese proprietaria delle omonime vetrerie, site oltre il torrente San Giovanni. Sindaco di Intra, consigliere provinciale, deputato al Parlamento. Sposò in prime nozze Luigia Zucchi (1834-1855) poi, rimasto vedovo, la contessa Delfina Spitalieri De Cessole (1833-1914). Dalla prima mogli ebbe un figlio, Pietro, che morì prematuramente all’età di nove anni (1855-1864).
«Carlo Franzosini, ultimo rappresentante di una opulenta famiglia cittadina, nacque in Intra il 7 febbraio 1831 da Vittore e Barbara Imperatori; fece i primi suoi studi nel Collegio Leardi di Casale Monferrato, che lasciò nel 1848-49 per i burrascosi avvenimenti di quell’epoca; recatosi poi a ultimarli a Milano nel Collegio Talchi-Taeggi ed altrove. Richiamato in patria per la repentina morte del suo unico fratello [il fratello Pietro, nato nel 1819, morì nel 1850], coadiuvò gli zii paterni nella estesa azienda industriale e commerciale della sua antica casa, e ben presto si fece conoscere per il suo tatto pratico e la versatilità negli affari. Giovanissimo fu eletto consigliere comunale e nel 1860 venne assunto a sindaco della sua città. Subito si trovò alla testa del Comune in momenti difficili, e quando il paese era diviso in partiti che si combattevano con accanimento, con fermezza e lealtà arrivò a sedare le ire ed a riconciliare i cittadini. Richiamato a tale carica, dopo le elezioni generali del 1866, la tenne fino al 1868, nel qual periodo diede impulso grandissimo alla vita cittadina, che, duramente provata dalla memorabile inondazione del 1868, ricorderà con gratitudine eterna i sacrifici e la generosità del suo sindaco, tutto dedito ad alleviare l’immensa sciagura, a confortare i disgraziati, mettendo perfino a disposizione del pubblico e del Comune la sua casa patrizia, e sovvenendo le finanze del Comune dei mezzi necessari in quei frangenti. La sua azione però non fu bene apprezzata da tutti, ed egli per alcuni anni si tenne lontano dall’amministrazione comunale. Ma pareva che questa non potesse far senza di lui; perché disciolto il Consiglio, e dopo la gestione di un Commissario regio, gli elettori si rivolsero di nuovo a lui che colla sua bontà d’animo si sobbarcò nuovamente il grave incarico e vi si dedicò con maggiore alacrità e perseveranza. La città era ancora desolata dalla disastrosa piena del San Bernardino, che nel 1872, rotto l’argine, irrompeva nel quartiere Sassonia, asportando case, masserizie, merci, riducendo le vie e le piazze a letto di fiume, distruggendo il porto e rovinando in parte l’imbarcadero. Tutto era ancora da fare, da ordinare, da costrurre. Egli dapprima pensò a garantire la città da altre piene, e coadiuvato validamente dall’Amministrazione del Consorzio San Bernardino, poté riuscire a far intraprendere i lavori del colossale argine, che ora ci difende. Non indugiò a far riattare tutte le strade e le piazze, nonché a ricostruire il porto; e chi rifletta di quai scarsi mezzi disponesse allora il Comune, con un bilancio di poco più di lire 60 mila, rimarrà meravigliato dei risultati della sua opera sagace. Dimessosi nell’anno 1876, trovandosi di frequente assente, non poté nullameno esonerarsene a lungo, perché a causa di gravi questioni subito insorte, dalla fiducia pubblica fu con insistenza richiamato all’ufficio di sindaco, che tenne poi ininterrottamente dal 1877 al 1883, quando emanò la legge sulle incompatibilità parlamentari. Anche questo quarto periodo del suo sindacato si segnalò per l’impulso dato alle opere pubbliche e all’incremento cittadino. Notiamo l’ultimazione del ponte sul torrente San Giovanni, che era stata iniziata dal suo predecessore; la splendida sottoscrizione pubblica per l’impianto del Collegio e la costruzione del grandioso suo fabbricato; la ferrovia Novara-Pino per Laveno; l’ultimazione della via Cavour e molte altre opere per la sistemazione della viabilità. La popolazione già fin dal 1878 aveva avuta occasione di manifestargli anche maggiormente la sua riconoscenza e fiducia eleggendolo a Consigliere provinciale, in quale carica lo riconfermò fino a quando la declinò nello scorso ottobre; ed egli, anche in questo ufficio seppe accaparrarsi la stima dei suoi colleghi che lo chiamarono costantemente a far parte della Deputazione provinciale finché la legge non vi mise impedimento, promovendo sempre il benessere e sostenendo gli interessi di questa regione. E non solo attese allo sviluppo materiale della sua città, ma curò ch’essa acquistasse anche moralmente quella preponderanza che la sua importanza e il suo grado di civiltà richiedevano. Tant’è che durante la sua amministrazione Intra riuscì a far trionfare dalle urne politiche, in ben due votazioni, il nome del suo cittadino, il commendator ingegner Gioachino Imperatori. E quando questi ebbe a scadere per sorteggio, la popolazione rivolse immantinente gli occhi al suo sindaco modello, e lo acclamò candidato alla Deputazione. Sono ancora vivi i ricordi di quella lotta memorabile, perché sia il caso di richiamarli. Ci basta accennare che appena si seppe l’esito dello scrutinio di ballottaggio, terminato alla mezzanotte, la popolazione fu in preda della più sfrenata gioia, e fra lo stormire delle campane, il rimbombo del cannone, acclamò il suo deputato, accompagnandolo dalla città alla sua villa con musica e fiaccolata. Ed egli fu pari, nel nuovo ufficio, all’importanza della carica e alla fiducia manifestatagli, da cattivarsi la stima di coloro stessi che acerbamente ne avevano combattuto la nomina. Tanto che allargato il collegio in quello molto maggiore di Novara I, egli fu riconfermato nelle elezioni generali del 1882, riuscendo il primo fra i colleghi con oltre 9 mila voti. Ed altra splendida riconferma si ebbe nelle ultime elezioni del 1886, quantunque, doloroso a dirsi, la cecità di parte ne facesse avversare la rielezione nella sua stessa patria. La qualcosa amareggiò, per vero dire, il suo animo nobile e leale, e ne ebbe il contraccolpo anche la sua salute. Alla Camera in breve si amicò tutti i colleghi e le più spiccate personalità politiche, che vedevano in lui un vero galantuomo e un uomo di gran cuore. Lo stesso compianto Depretis l’onorò della sua illuminata fiducia, della quale mai egli si giovò a profitto proprio, come con frase incisiva stampa il Don Chisciotte (autorità non sospetta) che riassumendo il suo giudizio sul nostro deputato, così si esprime: Era un galantuomo e passò incontaminato fra i mille sospetti di corruzione che insudiciarono l’epoca parlamentare del trasformismo. Solo si valse della sua meritata influenza a tutela ed a vantaggio dei suoi elettori, i quali in qualunque parte del collegio ben lo apprezzavano, e mai a lui si rivolsero invano. Rimase assai impressionato dalla morte di Depretis, ed anzi d’allora ammalò da essere costretto a star lontano dalla Camera per oltre un anno. Dall’apertura della presente sessione aveva ripreso parte ai lavori parlamentari, ai quali era assiduo, ed a Roma contrasse i germi delle febbri repentine, che lo condussero alla tomba. . .»
|