Luisa Brielli nasce a Novara 28 novembre 1820 da famiglia «cospicua e virtuosa»; il padre Pietro, agronomo, fu senatore del Regno e per diversi anni sindaco della città, la madre Antonietta discendente dalla famosa stirpe novarese dei Serazzi. All’età di dieci anni, per affinarne l’educazione, i genitori la mandarono a studiare in Toscana, prima a Lucca, all’Istituto Maria Luisa, poi a Firenze dalle Montalve, scuole in cui apprese «quell’armonioso accento che non lasciò per tutta la vita». Non ancora ventenne, l'11 febbraio del 1840, andò in sposa a Lorenzo Cobianchi ricco e innovatore imprenditore tessile intrese con il quale per quarantun’anni condivise «le buone e le cattive vicende, gioendo delle sue letizie, confortandolo nelle asprezze e nei dolori, imparando da lui ed a lui insegnando alti concetti della vita». Ne raccolse ogni confidenza, non lesinandogli critiche, a volte anche aspre, dispensando consigli e cercando di indirizzare ogni sua aspirazione. Donna distinta, ma nel contempo affabile con tutti, largamente sussidiò le istituzioni di assistenza pubblica cittadina; l’orfanotrofio “Rosa Franzi”, l’asilo d’infanzia, la colonia alpina “Elena di Montenegro”, l’ospedale civico “San Rocco”, l'opera pia "Carlo Müller" per la cura degli scrofolosi la annoverano tra le benefattrici più generose. Durante l’epico periodo del Risorgimento italiano, ospitò nel bel palazzo di Intra, proprio in faccia al lago, numerosi insigni personaggi: Camillo Benso conte di Cavour, l’eroe di Peschiera e di Novara, Ferdinando di Savoia, il ministro Pietro Paleocapa, il generale Cavalli, il presidente del consiglio di Stato Luigi Des Ambrois, solo per citarne alcuni. Coraggiosa, risoluta nelle decisioni, nel maggio 1859 durante la Seconda Guerra d'Indipendenza consigliata di allontanarsi da casa a causa del pericolo delle granate sparate dai piroscafi austriaci rispose «che dove stavan gli altri poteva e doveva stare anche lei; e non si mosse». Alla morte del marito – avvenuta il 21 settembre 1881 – rimasta sola, non avendo avuto figli, operò affinché il nome e l’opera del consorte defunto fossero per sempre ricordati. Soprattutto intese consolidare la fondazione da lui voluta, anticipandone persino la realizzazione. Nel suo testamento Lorenzo Cobianchi aveva infatti disposto una rendita di 10.000 lire annue per la fondazione in Intra di una scuola d’arti e mestieri che portasse il suo nome. Luisa profuse ogni energia in questa impresa: rinunciò all’usufrutto vitalizio sul legato di fondazione, donò il terreno sul quale costruire l’edificio scolastico, superò ogni intoppo burocratico e con un anticipo di vent’anni realizzò quanto stabilito dal marito. Il 4 gennaio 1886 in locali messi a disposizione dal Comune si inaugurò il primo anno scolastico dell’Istituto Arti e Mestieri “Lorenzo Cobianchi”. Inizialmente funzionarono due corsi, uno diurno per la formazione dei tecnici, l’altro serale per la riqualificazione degli operai. Tre anni dopo, il 5 novembre 1889, si aprirono i battenti della nuova e ampia sede che si affaccia sull’attuale piazza Martiri di Trarego. Sede da lei fortemente voluta e interamente finanziata insieme al nipote Giovanni Grugnola per un costo di circa 140.000 lire. Non doma, continuò ad operare a favore della neonata istituzione: con sussidi e donazioni ne accrebbe la suppellettile scientifica e di tasca propria pagò perché fossero migliorate anche le vie d’accesso alla scuola. Insignita della medaglia d’oro al merito dell’Istruzione Pubblica (1889), declinò ogni altro riconoscimento o carica pubblica, fedele al motto di casa Cobianchi: essere non parere. Morì a Intra il 28 maggio 1900, dopo lunga malattia. Il giorno seguente l’intera cittadinanza accompagnò lungo le vie della città fino all’ultima dimora «la grande benefattrice». Due bande musicali seguirono il feretro, in silenzio, senza intonare una sola nota. Nel suo testamento, oltre a legare ulteriori 100.000 lire all’Istituto, lasciò scritto di non volere in sua memoria «lapidi, inscrizioni e ritratti di nessun genere ed in nessun luogo» affinché la sua persona fosse dimenticata, desiderosa solamente che il nome del marito – «dal cui affettuoso ricordo ogni opera mi fu inspirata» - fosse per sempre ricordato.
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