Pallanza, 15 luglio 1841
|
Milano, 26 novembre 1896
|
Figlio di Giovanni, maestro di musica, e Antonia Franzi. Studiò al Conservatorio di Milano (1854 - 1861), allievo di Antonio Angeleri, avendo come colleghi Arrigo Boito e Franco Faccio. Ottimo pianista, all'inizio della carriera lavorò come concertista, poi si dedicò esclusivamente all'insegnamento e alla composizione. Professore al Regio Collegio delle fanciulle e al Collegio Bianchi-Morand. Pubblicò un grande numero di composizioni, fantasie, ballabili per pianoforte, pezzi per canto e strumenti. Un suo minuetto per quartetto d'archi dedicato alla Regina, gli valse un prezioso ricordo. Cavaliere della Corona d'Italia. |
[Leonardo Parachini] |
|
«La famiglia Menozzi, di antico patriziato Pallanzese [?] illustrava la metropoli lombarda col nome di due suoi figli: del cav. Luigi gerente della Ditta fratelli Branca, e del cav. Giuseppe che accoppiando la innata bontà, lo svegliato ingegno, lo squisito sentimento dell'armonia, seguendo le pedate del padre, del cav. Giovanni Menozzi, il papà dei musicisti del lago, aveva ben presto preso posto fra i rinomati professori di quella città sia nel Collegio Reale delle fanciulle, sia nelle private famiglie il professore Menozzi Giuseppe acquistò bella fama di valente compositore e di professore distinto per il metodo, e per la forma come nell'apprestare gli insegnamenti alle numerose allieve. [...] Coadiuvato dal cav. Giuseppe Branca di compianta memoria aveva fatto vivere il Teatro Sociale di serate musicali, quali non si gustano sempre anche nelle grandi città. La Sonnambula, la Carmen, il Faust, e tante altre opere ebbero mercé sua degli splendidi successi. La sua intensità al lavoro, la sua capacità illustrata dal grande amore allo studio erano state di recente premiate oltrecché col successo dei lavori, da meritata onorificenza. Travagliato da obesità, che lo rendeva quasi infermo negli ultimi due anni, continuò nell'insegnamento e negli studi. Le arie balsamiche del Monterosso sulla cui vetta aveva ricercato ristoro non valsero ad allontanare la fine fatale. Ed ei morì circondato dalla famiglia, dai parenti, dagli amici, dagli artisti, e dai conoscenti della sua Pallanza, dove volle essere trasferito e dove era tanto amato. I funerali furono anche colà solenni perché Pallanza ha avuto ragione di piangere la scomparsa di un'altra tipica figura di uomo onesto, di un eletto artista, di un galantuomo». |
La Voce, 4 dicembre 1896 |