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Menozzi, Giovanni

Milano, 28 dicembre 1813
Pallanza, 8 febbraio 1885

Rapido, a mo’ di baleno, diffondevasi, il mattino dell’ora scorsa Domenica (8 febbraio), il funesto annunzio della morte del cavaliere Maestro Giovanni Menozzi.
Da alcun tempo si sentiva travagliato da qualche malanno, ma il non mai interrotto lavoro, la consuetudine del vederlo costantemente sereno, non lasciavano temere sì improvvisa la sua fine. Non è quindi a dire la dolorosa meraviglia che destò la notizia in Pallanza, e nei dintorni - perché il maestro Menozzi da circa mezzo secolo vantava referenze nelle più cospicue famiglie del lago – il suo nome era di tanta simpatia nell’universale che la sua scomparsa, si può dire, è considerata quale pubblica sventura.
Era nato a Milano ai 28 dicembre 1813. Suo padre (Domenico) era riputato pittore e scenografo del quale ammirasi il busto nel palazzo di Brera; soldato a Vienna nell’esercito austriaco, già suonatore nella Banda militare, trasferitosi a Pallanza imprese a secondare colla tenacia del proposito quel genio singolare che avea sortito da natura per la divina Armonia, e riescì, e colle sue composizioni, e col suo insegnamento si assicurò un nome immortale nell’arte di Euterpe.
Laonde la sua vita fu tutta un culto incessante di quella musica da cui attingeva le più nobili e belle ispirazioni; fu lui che nella città adottiva puossi affermare ne abbia introdotto l’amore e lo studio, e due generazioni riconoscono nel maestro Menozzi il papà della musica.
La sua fama, a breve andare, si sparse per tutto il lago, e non tardò a varcarne i confini. I suoi metodi, i suoi studi dati alle stampe vennero adottati nei primari conservatorii, e le sue lezioni ricercate in tutte le famiglie di Pallanza, e della vicina Intra, che se lo contesero a vicenda per più di otto lustri.
Altri più competente di noi nell’arte dirà del Menozzi come compositore – noi stretti altresì dall’angustia del tempo possiamo solo accennare a quella fecondità per cui il suo ingegno non si stancò mai di scrivere sino agli estremi giorni del viver suo – a quell’operosità più singolare che rara per cui anche in quel dì che fu l’ultimo impartì lezioni di pianoforte, a quella sterminata falange di allievi e di allieve, che lo onorò nella sua lunga carriera, e che annoverarava anche la Principessa Margherita ora Regina d’Italia attratta dalla fama di lui, e il fratello Principe Tommaso – alla gagliarda fantastica, all’entusiasmo, al buon gusto, allo squisito sentimento e raffinatezza d’arte ajutata da un’amorosa natura – al magistero onde sapeva contemperare i diversi modi musicali il Dorio, il Frigio, l’Eolio e il Lidio, governando dentro ai cuori gli affetti, o raccendendoli, o facendoli dolci, o adducendo l’anima a grave sentimento, o inspirando a pietade, o adergendo i cuori a religione cribrando l’anima di insaziabile dolcezza – per cui del suo comporre ora si risentiva delle gravi e magistrali armonie del Mercadante, ora delle novelle ed elette inspirazioni del Pacini, quando delle innumerevoli e perenni creazioni del feracissimo Donizetti, quando della novissima trasformazione del genio atlantico del Rossini.
Direttamente il Governo italiano gli conferiva nel 1870 le insegne equestri della Corona d’Italia.
Assistemmo ai suoi funerali di ieri sera. Furono tali da rendere una verace immagine di quell’amore, di quella simpatia, di quella venerazione che tutte le classi sociali senza distinzione di parti, professavano al benemerito maestro.
Apriva il corteo l’Asilo d’infanzia, colle sue istitutrici – seguivano le Confraternite – la Società filarmonica che colle sue meste note, colla Marcia funebre, composta dal trapassato appositamente pel proprio mortorio, inneggiava alla gloria del potente allievo di Euterpe, conforme alla sentenza del Macrobio il quale accennato: Mortuos quoque ad sepulturam prosequi cum cantu oportere, soggiunge persuasione hac, qua post corpus animae ad originem dulcedinis musicae, id est ad coelum redire creduntur – il Clero – il carro funebre adorno di innumerevoli eleganti e grandiose corone – i figli, i congiunti – la autorità civili e giudiziarie del Circondario – numerosissimi amici di Pallanza e d’Intra – la Società Euterpe Intrese – la rappresentanza della Società filarmonica d’Intra – le rappresentanze del Comizio Agrario, e della stampa pallanzese ed intrese – una schiera di parecchie centinaia di signore di Pallanza, Intra e di diversi paesi abbigliate a lutto – il Collegio convitto con la sua bandiera – le scuole elementari maschili e femminili – la società dei Veterani – l’Operaia – l’Orticola Verbanese – l’Artigiana ecc..
Reggevano i cordoni della bara il Sindaco, il Sotto Prefetto, il Rappresentante della Casa Lucca di Milano, Viani Agostino, Erba Carlo e Grugnola Giovanni.
Al fiore della cittadinanza associa vasi quello degli abitanti d’Intra, che fregiarono i funerali di molte e splendide corone fra le quali campeggiava quella della Società Euterpe.
La casa Editrice Lucca di Milano, a cui il Menozzi fornì per più lustri i suoi più pregiati componimenti musicali, mandava una sua rappresentanza, con una elegantissima corona, ed il Consiglio direttivo del Conservatorio Lombardo trasmetteva un telegramma di condoglianza alla famiglia.
Quel mortorio fu come il trionfo finale della vita del compianto Maestro fu, diremo meglio, il prodromo della sua immortalità.
Se non che Giovanni Menozzi riputatissimo e valente come maestro di musica, fu anche marito, padre e cittadino integerrimo. Sulla sua bara il Sindaco della Città dott. Cavanna descriveva con forbita allocuzione quel nido d’amore che era la famiglia Menozzi – le doti sociali, il carattere spigliato, il magnanimo cuore del suo capo. Nelle sue disposizioni testamentarie legò un benefico ricordo a diverse Società filantropiche, e diversi suoi componimenti all’Euterpe d’Intra – le sue benemerenze verso la regina delle arti leggiadre – il diritto conseguito all’immortalità – Viani Agostino a nome dei mille allievi fra i quali ei pure si annoverò, pronunciava riconoscente fra le lagrime un mestissimo addio al desideratissimo maestro e padre, al quale, per ultimo, il prof. Ernesto Antonietti, a nome della Società Euterpe Intrese, tributava un omaggio di rimpianto e di gratitudine.
La commozione, il pianto destato da questi epicedi, specie dai due primi, nell’affollato uditorio, dimostrarono come fossero toccate le più intime sue fibre, e come il Menozzi, alla cui diletta e sacra memoria erano dedicati, abbia lasciato un’eredità di affetti che a pochi è dato conseguire quaggiù . Tale è la sorte che spesso è riservata al lavoro, al genio, e se il dolore della famiglia Menozzi potesse essere temperato, il compianto unanime che si leva sulla tomba del venerando capo di lei, e la solennità delle funebri onoranze, che gli si resero, dovrebbero tornarle di ineffabile conforto.
Sulla porta della Collegiata di San Leonardo addobbata a lutto leggevasi questa iscrizione:

SULLA TOMBA
DEL CAVALIERE GIOVANNI MENOZZI
MARITO PADRE CITTADINO
OTTIMO
PER LEALTÁ E SERENITÁ DI CARATTERE
SIMPATICO A TUTTI
CHE FECONDANDO CON INSTANCABILE OPEROSITÁ
IL NATURALE INGEGNO
RAGGIUNSE NELL'ARTE DELLA MUSICA
COMPONENDO ESEGUENDO INSEGNANDO
ALTO MERITATO POSTO
LA MOGLIE NON PIÚ FELICE
I FIGLI I CONGIUNTI GLI AMICI
PIANGONO E PREGANO

La Voce, 10 febbraio 1885

[Leonardo Parachini]